L’Accademia del pizzocchero di Teglio, nel 2011, ha pubblicato un volume dal titolo:
“La stüa nella Rezia Italiana” che illustra il patrimonio delle stüe valtellinesi e valchiavennasche, con foto d’autore di ciascuna e descrizione dettagliata.
Rezio Donchi, presidente dell’Accademia, nella presentazione, scrive: La “stüa” costituiva un ambiente particolarmente caldo e confortevole, il vero cuore della casa. Quelle realizzate prevalentemente in pino cembro erano le più suggestive e durature per il particolare colore del legno di questo albero e per il suo gradevole e persistente profumo che allontana parassiti, insetti e tarli: caratteristica questa che rende le assi di cirmolo o cembro molto longeve. Per tale motivo è affascinante entrare in una “stüa” di pino cembro vecchia di quattro o cinquecento anni: le assi si presentano ancora intatte; se si chiudono gli occhi sembra di essere ancora in mezzo a un bosco; l’albero nonostante sia stato tagliato da secoli, continua a vivere e a emanare un persistente arboreo profumo (arbor caesa vivit).
Da quell’ambiente particolarmente caldo si può capire che il riferimento è sì al calore umano, ma soprattutto al calore emanato dalla stufa o pigna che dotava la stüa, nella quale la famiglia si rifugiava nel periodo invernale, particolarmente freddo soprattutto nei paesi posti alle quote più alte.
Infatti le stüe le troviamo più numerose in alta Valchiavenna, in alta Valtellina e nelle valli secondarie. Non mancano nemmeno sul fondo valle, ma sono prevalentemente nelle case e nei palazzi signorili e nelle istituzioni, come la stüa del sindaco nel municipio di Sondrio.
La stüa, per la funzione che rivestiva e per lo scopo per cui era stata costruita, era un unico locale, spesso il più spazioso, perchè doveva contenere tutta la famiglia, culla compresa, completamente rivestito in legno, dotato, come si è visto, di una grande stufa in cotto o in sasso, che, il più delle volte, veniva caricata dall’esterno, onde evitare il rischio di incendi.
Spesso svolgeva anche la funzione di camera da letto, nella quale dormivano i genitori e dove venivano tenuti anche i più piccoli.
Troviamo la stüa diffusa in varie località delle Alpi, come in Val d’Aosta, nei Grigioni, nel Trentino-Alto Adige, nel Tirolo e in Austria. In questi ultime località, è conosciuta col nome di stube.
Da noi la stüa ebbe una grande diffusione soprattuto nel 1500, “sia nel fondo valle come segno di distinzione sociale, sia nelle terre alte, dove prevale l’aspetto funzionale, per rispondere ai rigori del clima”, dopo che si era affermata già nel secolo precedente.
Le stüe furono opera di ebanisti e abili artigiani che eseguivano opere dal disegno semplice, ma anche di artisti che lavoravano in palazzi pubblici e chiese.
Mentre non si conoscono i nomi degli artigiani, in quanto non esistono documentazioni, sono noti invece i nomi degli artisti del legno che hanno lavorato negli edifici pubblici di Valtellina e Valchiavenna, provenienti dal Comasco, dal Trentino e dalla Val Camonica, chiamati da signori e dalle istituzioni per abbellire palazzi e chiese.
Si può pensare che, vista la richiesta, in questo secolo, si siano formate delle maestranze locali che hanno dato un notevole impulso e un buon contributo nella costruzione di stüe,
anche in abitazioni private, ricche di intagli, intarsi, capitelli e decorazioni varie.
Nel volume sono ricordate ad esempio quelle di Palazzo Vertemate a Piuro, di Palazzo Paribelli ad Albosaggia e tante altre di eccelsa fattura.
L’Accademia del pizzocchero, con questo volume ha voluto ricostruire un aspetto particolare della cultura dell’abitare nella Rezia Italiana, comprendente Valchiavenna, Valtellina, Val Poschiavo e Val Bregaglia, con il contributo di eminenti studiosi di storia locale delle varie zone, coordinati dal prof. Guido Scaramellini e con le belle immagini fotografiche di Livio Piatta a documentare un grande e importante patrimonio.